Noi ci sentiamo profondamente sconfitti, noi italiani e tedeschi che ci siamo per anni battuti per il superamento delle divisioni" ci dice la consigliere verde Alessandra Zendron.
"E’ stata una sconfitta per la Bolzano dei miei sogni: quella pluriculturale e transetnica, quella che ha l’Accademia Europea e l’Università trilingue. Una città tradita da una banda di disgraziati, che non si è resa conto di quale passato e quale futuro Bolzano può avere" - afferma duro Arnold Tribus, direttore di Tageszeitung, il quotidiano tedesco alternativo al Dolomiten e alla Svp. "La sera del referendum per me è stata tristissima, sono rimasto letteralmente shoccato - ci dice Hans Karl Peterlini, direttore del settimanale FF, anch’egli critico verso la Svp - Questo risultato ci ributta indietro di decenni, mi sono detto".
Queste le reazioni fra coloro che credevano possibile, imminente, il superamento della società sudtirolese rigidamente divisa in comparti etnici, quella con le scuole italiane e le scuole tedesche divise da un muro, perché i ragazzini non si parlino e magari fraternizzino. Una società non più all’altezza dei tempi, si pensava. E su queste speranze si è abbattuto il risultato del referendum di Piazza della Vittoria: il luogo dell’orrido monumento fascista, voluto da Mussolini per ricordare ai sudtirolesi l’annessione all’Italia, era stata ribattezzata dal sindaco di centro-sinistra Salghetti piazza della Pace. Tentativo di riappacificazione maldestro: Alleanza Nazionale indiceva un referendum per ripristinare la Vittoria, e lo vinceva alla grande: 30.900 sì contro 19.000 no.
L |
a tabella (elaborata dall’Istituto di demoscopia Apollis di Bolzano, per conto di FF) analizza la distribuzione del voto. Gli elettori tedeschi hanno votato no, con una quota consistente - il 14% - di rimasti a casa ("Un dato positivo - commenta Zendron – E’ il rifiuto alla mobilitazione sulle questioni etniche"); quelli italiani di centro-destra hanno votato compatti per il sì; ma il sì è prevalso, sia pur di poco e con un 22% di astensioni, anche fra gli italiani di centro-sinistra.
FLUSSI ELETTORALI FRA LE ELEZIONI COMUNALI DEL 2000 | ||||||
REFERENDUM SU PIAZZA DELLA PACE | PARTITI TEDESCHI, LADINI E VERDI | PARTITI DI CENTRO-SINISTRA ITALIANI | PARTITI ITALIANI DI DESTRA E ALTRI | NON HANNO VOTATO ALLE COMUNALI 2000 | TOTALE | REFERENDUM RISULTATO UFFICIALE |
Movimenti elettorali (in valori assoluti) | ||||||
NO | 13.900 | 5.100 | 0 | 0 | 19.000 | 18.972 |
SI' | 0 | 6.600 | 20.300 | 4.000 | 30.900 | 30.873 |
NON VOTANTI E NULLI | 2.300 | 3.300 | 2.300 | 24.200 | 32.100 | 32.187 |
TOTALE | 16.200 | 15.000 | 22.600 | 28.200 | 82.000 | 82.032 |
RIS. UFFICIALE | 16.172 | 14.952 | 22.560 | 28.348 | 82.032 |
|
(in percentuale) | ||||||
NO | 86% | 34% | 0% | 0% | 23% |
|
SI' | 0% | 44% | 90% | 14% | 38% |
|
NON VOTANTI E NULLI | 14% | 22% | 10% | 86% | 39% |
|
"E’ prevalsa la logica dello schieramento, noi e loro. E questo succede quando la politica, qui AN, mobilita l’elettorato appellandosi a istinti ed emozioni; dove il ‘noi’ e il ‘loro’ è sancito dal sistema, basato – istituzionalmente - sulla separazione"- afferma Jens Woelk, di nazionalità tedesca (di Germania) già coordinatore all’Accademia Europea di Bolzano, oggi ricercatore a Giurisprudenza a Trento, e tra gli animatori di "Convivia", associazione bolzanina che promuove iniziative su convivenza e multiculturalità.
"Sì, la nostra è una società profondamente separata, e il referendum lo ha impietosamente evidenziato. E non ci eravamo resi conto di quanto fossero profondi i fossati - ammette Zendron - Colpisce in particolare il voto giovanile italiano, che sembra aver accettato come riferimento identitario i simboli degli anni Venti. E questo è il frutto di una non-educazione".
"Il voto italiano è stato dominato dallo spauracchio della tedeschizzazione; ha vinto lo slogan di AN ‘riprendiamoci Bolzano, Bolzano è italiana’ - afferma Tribus - Al contrario, la Bolzano dinamica, moderna, plurilingue, che c’è ed è ben viva, non è entrata in campagna elettorale, quasi infastidita: ‘Ci sono altri problemi che non il nome di una piazza’ è stato l’atteggiamento. Ed è vero, i problemi sono altri, ma intanto c’era questo".
l settimanale FF ha commentato l’esito del referendum con un titolo provocatorio, per un organo di stampa di lingua tedesca: "Il sì è stato una fortuna?"
Ci spiega il direttore Hans Karl Peterlini: "Questo sì è un momento magari doloroso, ma chiarificatore, che ci dice in modo molto duro che la presunta pacificazione in Sudtirolo era un po’ fasulla e superficiale. Certo, passi avanti ne abbiamo fatti, per esempio sulla distribuzione dei beni, ma non è stato risolto quello che sta sotto, nello stomaco, nell’inconscio, nei miti collettivi. Da parte tedesca c’è un mito fondante, l’essere stati vittima della Grande Guerra, del trattato di pace, del fascismo, della furba Italia di De Gasperi: mito che giustificherebbe l’arroganza di oggi, che con l’Autonomia siamo maggioranza e ci comportiamo con scarsa sensibilità verso l’attuale minoranza.
Gli italiani hanno il mito opposto: della Vittoria che giustifica la loro presenza, e in nome della quale, ora che da maggioranza sono minoranza, con i relativi complessi d’inferiorità, rivendicano diritti, orgoglio, richieste. Non si va avanti finché un gruppo, a livello di famiglia e di istruzione, si identifica con la Vittoria mutilata; e l’altro con l’Oppresso che finalmente rialza la testa".
Jens Woelk porta il discorso sul piano storico-giuridico: "Nello Statuto d’Autonomia del ’72 viene regolamentata la separazione tra i due gruppi, istituzionalizzandone la convivenza uno accanto all’altro. La separazione è stata accentuata dalle convenienze dei partiti, perché gli garantiva la solidità della base elettorale, e la possibilità di dirigere la gestione delle risorse. Però era un metodo che funzionava, una tolleranza imposta per legge, che ha portato a una pacificazione.
Poi però gli equilibri si sono modificati: se nel ’72 erano sfavorevoli al gruppo tedesco, ora è il contrario, con una prevalenza, anche a livello sociale, del gruppo tedesco. Il che, interpretato come ‘riparazione’ di tempi bui, può essere anche giusto, ma solo se è temporaneo. Oggi l’italiano ha nei fatti meno diritti, di accesso al lavoro e di carriera".
Il meccanismo è noto, e qui lo riassumiamo in estrema sintesi. La "proporzionale" divide posti e previdenze pubbliche proporzionalmente alla consistenza dei gruppi linguistici: così agli italiani è riservato un terzo dei posti pubblici, degli alloggi, ecc. Il fatto è che però quello che non è pubblico, non è ripartito (né potrebbe) in queste proporzioni, a iniziare dalla proprietà dei terreni, agricoli ed edificabili. Per cui interi settori, come l’agricoltura e il turismo, sono totalmente in mano ai tedeschi, mentre il settore pubblico, una volta riserva degli italiani, oggi è destinato ad essi per un terzo (e lì le domande si affollano) e ai tedeschi per due terzi (con molti posti che non riescono ad essere ricoperti).
C’è poi una questione di ruolo sociale: "Gli italiani, per una serie di meccanismi, difficilmente hanno ruoli di rilievo, hanno cattedre di serie B, sanno che non avranno mai il Presidente della Giunta, non hanno costruito una vera comunità, non hanno espresso personaggi politici in cui riconoscersi - afferma Peterlini - Di qui una visione da perdenti, il mito della Vittoria, i vincitori di 80 anni fa che si aggrappano a quello".
Insomma, "il compromesso alla base dello Statuto del ’72, della proporzionale, oggi, nella mutata situazione, non è più giusto. E quindi va rivisto" - commenta Woelk.
Il fatto è che da una parte la Svp ha elaborato il concetto di Autonomia dinamica, nel senso di adattamento continuo delle norme, ma intesa non a favore del territorio, ma del gruppo linguistico che rappresenta, "stravolgendone il concetto giuridico". Dall’altra Alleanza Nazionale, con lo stesso referendum ha portato un altro vulnus, un’ulteriore ferita: "Le questioni etniche non possono mai essere risolte con il principio di maggioranza, bensì del consenso - afferma Zendron - Questo è uno dei principi cardine quando sono in gioco delle minoranze".
"Se ora negli altri Comuni, a maggioranza si rivedesse la toponomastica facendo cadere i nomi italiani, sarebbe gravissimo - incalza Woelk - In realtà si farebbe cadere il diritto alla Heimat degli italiani, a riconoscere il luogo come proprio. Il che vuol dire infrangere il principio del riconoscimento reciproco".
Di qui un possibile avvitarsi di dinamiche negative: Bolzano che elegge un sindaco di AN, la provincia che, forte della maggioranza in Consiglio Provinciale, intende castigare la città, e così via.
In realtà c’è anche una forza delle cose che sconsiglia avvitamenti suicidi: Durnwalder ha dichiarato che non intende percorrere la via del conflitto, nonostante pressioni interne al suo partito, in alcuni settori voglioso di rivincite. E le dichiarazioni degli esponenti di AN (vedi l’intervista) non sono bellicose.
Rimane però il discorso di fondo: che ne è del Sudtirolo che sembrava spinto in avanti, non indietro? Verso la società plurilingue? Verso l’abbattimento delle barriere, non verso i ricordi rancorosi? Che ne è di quel percorso che, anche nei nostri servizi di alcuni mesi fa, sembrava ineluttabile?
"Lo è ancora - afferma convinto Tribus - Ci sarà sempre più un Sudtirolo, forse elitario, comunque plurilingue e aperto al mondo, e dall’altra un volgo, un po’ arretrato, che da una parte sarà contento di dire ‘siamo in Italia’, dall’altra di girare con i costumi tipici".
C’è la forza delle cose. "Ci sono gli imprenditori che si dichiarano loro pronti a prendere l’iniziativa, visti i boicottaggi della politica, per insegnare il plurilinguismo, oggi indispensabile" - afferma Zendron.
"E’ il punto centrale: la lingua come elemento non di divisione, ma di forza del territorio - sostiene Peterlini - E’ l’intuizione che ha portato, contro resistenze fortissime, all’università trilingue".
Hans Karl Peterlini, direttore di FF. |
Parallelamente ci sono le resistenze culturali e le convenienze dei partiti, che sui recinti della divisione prosperano tranquilli. "L’italiano monolingue, nel Sudtirolo di oggi, è il perdente per definizione. E allora si aggrappa alla Vittoria – prosegue Peterlini – E sapendo questo, è grave l’atteggiamento della Svp, che ha sempre visto, nel tentativo degli italiani di imparare il tedesco, un’aggressione: quando un bambino italiano viene iscritto all’asilo tedesco per imparare la lingua, viene visto come un cavallo di Troia, un attentato alla sopravvivenza del gruppo tedesco".
E’ il solito discorso: dei partiti assurti a rappresentanti di un gruppo etnico, che nella divisione vedono l’elemento fondante della loro sopravvivenza: "La Svp ha effettivamente frenato le reazioni più forti al referendum, come la manifestazione degli Schützen – ricorda Zendron – però è pur sempre vero che i ricompattamenti attorno alla bandiera etnica sono per loro positivi. Non dobbiamo ricordare come nel ’93 e nel ’98, sempre prima delle elezioni, sia stata proprio la Svp a ripartire con la querelle sulla toponomastica."
S |
ull’altro versante i nostri interlocutori dipingono tutti il medesimo quadro: An divisa tra un’anima che intende rappresentare gli interessi italiani ma non in funzione antitedesca, cercando accordi con la Svp (rappresentata dal presidente Giorgio Holzmann); e un’altra intransigente (rappresentata dal consigliere provinciale Alessandro Urzì). Entrambe scavalcate dall’iniziativa di Unitalia (i fascisti doc) che promuove il referendum, cui si accoda subito Urzì mentre Holzmann rimane molto tiepido. Risultato: con la vittoria del sì, la politica di Holzmann entra in crisi.
"E questo lo ritengo un risultato positivo – afferma Peterlini – In effetti la Svp stava veleggiando verso un’alleanza con An che, se riusciva, avrebbe ingessato la divisione: tedeschi e italiani sarebbero stati rappresentati da due partiti rigidamente ed esclusivamente etnici. Una situazione immobile. Ora invece la Svp si interroga se non sia il caso di proseguire con l’alleanza con il partner di centro-sinistra, che è meno forte, che magari attraverso l’interetnicità invade il tuo campo, ma che però è un partner serio".
Il fatto è che, qui più che altrove, gli equilibri partitici sono tremendamente importanti. "Emerge il ruolo dirompente della politica in questioni come il nazionalismo e le divisioni etniche - afferma preoccupata Zendron – Ed è una cosa drammatica, perché la politica non è in grado di svolgere questo ruolo in chiave positiva: lo abbiamo visto in Yugoslavia, con i Tudjiman e i Karadzic oltre a Milosevic. Se non si costruiscono solidi legami nella popolazione, poi è facile che qualcuno cerchi fortuna mettendo una comunità contro l’altra. Come successe in Ruanda, dove una delle ragioni del conflitto fu la famigerata ‘Radio delle colline’, che bombardò gli Hutu instillandogli il concetto che i Tutsi erano esseri inferiori e parassiti, senza che nessuno controbattesse.
L’antidoto consiste nel costruire una storia comune, condivisa: in cui le due comunità si ritrovino, senza rinfacciarsi continuamente i torti passati".
"Sì, ogni gruppo è forte nel piangere i torti subiti e le proprie vittime; mentre la strada dovrebbe essere quella di riconoscere i propri sbagli e le proprie colpe - afferma Peterlini - I tedeschi dovrebbero capire di non essere il popolo biblico che ha sempre ragione, e che sempre si risolleva dalle sberle subite; e riconoscere, per esempio, che l’Italia ha avuto la civiltà e l’intelligenza politica di preservare le minoranze. E parimenti gli italiani dovrebbero ammettere di essere stati portati qui per colonizzare.
Quando entrambi avranno introiettato una storia comune, e capito che il vivere fianco a fianco in una società plurilingue è un vantaggio, allora non saremo più in balia del vento".